“Le Fiabe sono per l’anima un tesoro.”
Rudolf Steiner, La prova dell’anima
Quando nella pratica clinica invito genitori ed educatori a raccontare le fiabe ai bambini, molti di essi si chiedono perplessi come mai usare uno strumento che potrebbe sembrare tanto datato e non al passo con i tempi. I racconti che l’umanità ha codificato e trasmesso in qualsiasi cultura –esistono fiabe in tutte le popolazioni del mondo ed esistono delle “Cenerentola”, delle “Cappuccetto Rosso”, delle “Bella Addormentata” per ogni gruppo etnico- rivestono un’importanza fondamentale nella crescita e nell’evoluzione del bambino e rispondono a bisogni ancestrali vividamente presenti nei più piccoli.
Innanzitutto, la fiaba classica, quella dei fratelli Grimm, ad esempio, nella sua versione originale e non addolcita da finali smussati, trasmette la certezza che le difficoltà che fanno parte della vita sono affrontabili e superabili, mostra che è possibile cercare e trovare soluzioni inedite a problematiche che sembrano insormontabili e in questo senso aiuta il bambino a pensare in modo creativo.
Inoltre, insegna due cose che spesso nella società attuale i genitori, nell’illusione di proteggere i propri figli dal dolore, tentano invano di tenere loro lontano: la prima è che i momenti difficili fanno parte dell’esistenza umana e che provare emozioni, sentimenti, pensieri negativi come la tristezza, la rabbia, l’aggressività, il dispiacere, ecc…, è assolutamente normale e che il problema non sta nello sperimentarli, ma nel saperli gestire ed integrare in se stessi e nell’altro. La seconda, ancor più profonda e spesso angosciosa per le mamme, i papà e gli educatori, è che la fiaba vera, ovvero quella in cui possono essere presenti streghe, orchi, troll, uomini e donne cattivi, confronta il bambino con una verità incontrovertibile: ovvero che il male fa parte della vita. Ma allo stesso modo, la fiaba dice e sottolinea che, accanto al male, alle persone malvage, esistono il bene e uomini e donne che lo perseguono. Che, insomma, ambedue gli aspetti fanno parte della realtà e che per crescere ed evolvere prima o poi si dovrà fare i conti con entrambi: se il bambino si sarà confrontato con la medaglia a due facce del bene e del “male nel mondo” (Carlegren, Klingborg, 1990, pag. 127) attraverso l’eroe e/o l’eroina della fiaba, immedesimandosi in essi e nelle loro virtù, saprà non solo riconoscere entrambi gli elementi del reale, ma avrà dentro di sé la sicurezza di poter formulare strategie per superare gli ostacoli sul suo percorso.
Tutto ciò avviene a un livello non cosciente perché il bambino elabora le tematiche della fiaba riferendole in modo inconsapevole a se stesso: si tratta di un’elaborazione profonda e quindi duratura e fondante. Non a caso, il racconto di fiabe da parte del maestro è uno degli strumenti educativi fondamentali nella pedagogia steineriana in particolar modo dai 4 ai 9 anni, la vera età delle fiabe, quando nelle scuole Waldorf a tale pratica vengono riservati un tempo e uno spazio nella routine giornaliera.
Ci si potrebbe chiedere: perché non confrontare direttamente i bambini con gli elementi negativi della realtà raccontando loro fatti davvero accaduti o leggendo la cronaca sui quotidiani o guardando insieme il telegiornale? Perché l’esperienza degli ultimi 30 anni ci dice che bambini messi a confronto troppo presto, in maniera troppo massiccia e senza un’adeguata mediazione con la crudezza della realtà affrontano la vita non, come si potrebbe pensare, in modo più vigoroso e determinato, bensì privati della loro naturale forza vitale, disarmati e timorosi o disillusi o addirittura violenti.
Come detto, l’elaborazione degli aspetti negativi dell’esistenza durante l’infanzia occorre che avvenga in modo non consapevole, che non passi per il raziocinio: se così dovessimo fare, chiederemmo al bambino uno sforzo per il quale non ha ancora costruito e testato strumenti e forze interiori idonei all’impegno richiesto.
Le fiabe, sia durante l’infanzia, sia durante l’età adulta, possono avere diverse funzioni. Eccone alcune.
FUNZIONE COGNITIVA
FUNZIONE EMOTIVA
FUNZIONE RELAZIONALE
FUNZIONE TERAPEUTICA
Molti colleghi usano le fiabe anche nella stanza di terapia con pazienti adulti, sia in percorsi individuali che di gruppo: la fiaba può essere terapeutica perché descrive in un linguaggio simbolico le problematiche, le mancanze, i conflitti interni, profondi della persona e la invita a cercare e trovare le sue proprie soluzioni.
Leggiamo e raccontiamo dunque le fiabe ai bambini: potrebbero essere non solo i più piccoli a trarne giovamento.
Dott.ssa Mariangela Fiorelli
Psicologa Psicoterapeuta a Caserta (CE)
Psicologa Psicoterapeuta
Partita IVA 02719390607
Iscrizione all’Ordine degli Psicologi del Lazio n° 16824