Secondo diversi studi condotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’ultimo nel 2015, la depressione costituisce oggi una delle più importanti forme di disturbo nell’ambito delle malattie psicologiche e fisiche. Colpisce milioni di persone nel mondo in età sempre più precoce, con una prevalenza del sesso femminile. Rappresentando a pieno titolo la patologia mentale più comune in tutto l’Occidente. La sua incidenza è talmente alta che l’OMS ha deciso di dedicare la Giornata Mondiale della Salute 2017 proprio a questo disturbo dell’umore.
Sentimenti di disperazione pervasivi, tono dell’umore basso, senso di vuoto interiore e tristezza, perdita di piacere e di interesse per le cose che in precedenza facevano stare bene. Sono questi, in linea generale, i principali sintomi dei disturbi depressivi. Cui si aggiungono sensi di colpa e incapacità di prendere delle decisioni e fare scelte. Difficoltà di concentrazione nelle attività della vita di tutti i giorni, pensieri negativi fino ad arrivare a quelli di morte o suicidio. E ancora, sfiducia e pessimismo nei confronti di se stessi e del proprio futuro, bassa autostima, ansia. Ma i sintomi non rimangono confinati nella sfera dello psichico. Chi ne è afflitto infatti ravvisa spesso anche problematiche fisiche come sensazione di stanchezza, affaticamento o dolore cronici, inappetenza o iperfagia (mangiare troppo), insonnia o ipersonnia.
Di frequente è già il corpo a parlare del dolore inconsolabile che sperimenta chi soffre di depressione: postura ripiegata e raccolta in sé, espressione facciale fissa. Oltre a un’estrema inclinazione al pianto e alla commozione.
Da ciò derivano difficoltà a livello sociale e di gestione della vita quotidiana che possono mettere seriamente a rischio l’equilibrio in diversi ambiti. Quello relazionale e affettivo (amicizie, partner, ecc…), lavorativo (la depressione è tra le prime voci di spesa nel computo delle indennità di malattia), di studio (difficoltà di concentrazione e memorizzazione) e familiare.
Le forme depressive identificate dalla ricerca e codificate nei manuali diagnostici sono molteplici. Possono assumere caratteristiche di ciclicità, cronicità o acuzie (distimia), essere reattive a un evento o endogene (assenza di un’apparente causa scatenante).
Oppure perdurare negli anni o per poche settimane, presentarsi in alternanza a periodi di umore euforico (disturbo bipolare) o sereno.
Quando nel linguaggio comune si dice che una certa persona è “depressa”, ovvero presenta un persistente umore negativo, tecnicamente il più delle volte ci si riferisce alla depressione maggiore. Chi ne soffre può presentare più di frequente l’insorgenza di malattie fisiche, difficoltà in ambito sociale e nel portare avanti i ruoli che la vita di comunità implica. Come quello di madre, padre, lavoratore, ecc...
Gli stati depressivi possono comparire come conseguenza di un episodio o evento scatenante che oggettivamente ha una portata negativa. Perdite reali come la morte di una persona cara, la separazione, la perdita del lavoro, un trasloco possono dare origine a reazioni luttuose che sono da considerarsi del tutto fisiologiche se rimangono confinate entro un certo lasso di tempo. Viviamo in un contesto sociale che ci vuole subito e sempre felici ed efficienti. È importante ricordare che le reazioni di tristezza o di franca disperazione di fronte a eventi di vita avversi sono assolutamente nella norma. E anzi auspicabili affinché la persona possa, dopo un certo periodo, riprendere la sua vita abituale. La tristezza che proviamo quando ci capita qualcosa di brutto non è una malattia ma un’emozione.
Questo tipo di depressione tende generalmente a scomparire da sola con il progredire del normale processo di elaborazione della perdita subita. Tale processo non è uguale per tutti e può durare mesi, a volte anni. Se però l’elaborazione del lutto non inizia o si blocca in una delle sue fasi, lo stato depressivo tende a perdurare o diventare più grave. Se si verifica una situazione di questo tipo, è utile seguire un percorso terapeutico attraverso il quale la persona possa scoprire cos’è accaduto dentro di sé.
Anche se può sembrare sorprendente, la nascita di un figlio può essere un evento scatenante di stati depressivi anche profondi. Secondo un recente studio in Italia le neomamme che soffrono di depressione dopo il parto o durante la gravidanza sono il 16%.
Più del 70%, invece, sperimenterebbe il cosiddetto baby blues. Ovvero uno stato di tristezza e irritabilità. Di predisposizione al pianto che compare intorno al terzo giorno di vita del bambino e scompare entro le 2-3 settimane dalla nascita.
Un sostegno psicoterapeutico alle gestanti e alle neomamme a rischio è uno strumento fondamentale. Non solo per garantire la salute mentale della donna ma anche la sanità fisica e psicologica del neonato. Durante i primi mesi di vita, infatti, mamma e bambino costituiscono un’unità in cui le condizioni dell’una incidono fortemente sull’altro. Riconoscere e curare tempestivamente una depressione post parto è di fondamentale importanza. Per la mamma, il bambino e per la relazione che essi costruiscono sin da quando il bambino è in grembo. Il rapporto primario madre-bambino costituisce il modello sul quale il figlio costruirà le sue relazioni future ed è importante che esso sia il più possibile sano e al riparo da influenze negative.
I disturbi depressivi non rappresentano uno stato psicologico incurabile: l’intervento psicoterapeutico è di efficacia ampiamente riconosciuta e comprovata da numerosi studi. Esistono diversi ed efficaci strumenti di intervento psicologico in grado di risolvere sia disturbi minori e isolati che casi di depressione maggiore o ciclica. La psicoterapia permette alla persona di scoprire quali sono le concause attuali e quelle più recondite e profonde del suo malessere.
Soprattutto nelle situazioni più gravi, l’approccio integrato di psicoterapia individuale e farmacoterapia risulta essere la strategia vincente. Per affrontare e sconfiggere quella che nei Paesi occidentali sembra essere una vera e propria epidemia. A volte il sostegno farmacologico è necessario affinché la persona possa raggiungere le condizioni minime per iniziare il lavoro psicoterapico. D’altro canto, se il farmaco agisce nel giro di qualche settimana sulla sintomatologia, non elimina le cause che hanno determinato l’insorgenza del disturbo.
Nei casi di episodi depressivi ciclici, presenti ad esempio nel disturbo bipolare, l’assunzione del farmaco anche durante i periodi di tono dell’umore non alterato previene le recidive. Riduce inoltre il periodo depressivo e aumenta l’intervallo di tempo tra un episodio e l’altro.
Dott.ssa Mariangela Fiorelli
Psicologa Psicoterapeuta a Caserta (CE)
Psicologa Psicoterapeuta
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